Posto a 750 metri di altitudine, sul versante teramano del Gran Sasso d’Italia, di cui si gode una veduta inedita e spettacolare, Cerqueto è circondato da poche terre coltivate, da grandi estensioni di boschi e prati, inframezzati da enormi ammassi di rocce calcaree.

Prima dell’anno mille Cerqueto probabilmente si trovava a nord dell’attuale abitato, in una località chiamata “Canili”.

In quella zona, infatti, secondo antichi documenti, si trovava la chiesa di Santa Maria in Querceto e l’adiacente abitato doveva svilupparsi verso l’antica Salara-Caecilia, che da Roma portava ad Atri.

Nel medioevo, signori delle terre del comprensorio erano i Conti di Pagliara che dominarono parte della Valle Siciliana fino alla prima metà del trecento.

Successivamente il feudo passò agli Orsini di Guardiagrele, che lo tennero fino al 1526. La leggenda narra che proprio in quel periodo avvenne il “fattaccio” che portò all’abbandono della vecchia “ Querceto”.

Il sacerdote del villaggio, accusato non si sa di quali crimini, venne preso a viva forza dalla gente del paese e gettato dall’altissima rupe di “li Carpinete”. Il poveretto morì, ma, continua la leggenda, sul paese si abbattè una terribile maledizione: milioni di formiche rosse cominciarono ad uscire dalle crepe della terra devastando i raccolti e facendo crollare le case.

Gli abitanti, terrorizzati da quel flagello, fuggirono e ricostruirono il paese nei pressi della chiesa di S.Egidio Abate, ubicata a pochi chilometri da questa località. Gli Orsini, con sommo disprezzo, tramutarono la Chiesa abbandonata in una rimessa per cani da caccia. Per questo motivo passò alla storia col nome di “Santa Maria in Canili”.

In realtà, le formiche distruttrici della leggenda, erano forse orde di saraceni che dalle coste dell’Adriatico, in quei tempi, spesso risalivano fino ai paesi dell’entroterra facendo razzie.

Comunque siano andate le cose, è certo che le case più antiche di Cerqueto risalgono ai primi decenni del 1200, mentre la costruzione della chiesa di S. Egidio Abate risale sicuramente ad alcuni secoli prima.

Un rione del paese, il Castello, in origine doveva essere una specie di fortezza.

Oggi si possono ancora vedere i grossi cardini del massiccio portone che sbarravano l’unico ingresso all’abitato.

I CARDATORI DI CERQUETO

Cerqueto, insieme con Pietracamela, è stata la “patria” dei cardatori di lana, un mestiere oggi del tutto scomparso.

Molti cerquetani partivano dal paese per recarsi verso i centri, soprattutto nella Marche, ma anche in Toscana, Lazio, Umbria, Molise, dove era richiesta la loro opera per cardare la lana.

Così, una volta arrivati in un paese, giravano le case di coloro che avevano bisogno di cardare la lana e, pattuito il prezzo, alloggiavano in quella casa finchè il lavoro non era terminato per poi recarsi, eventualmente, in quella successiva.

. Lo “scardalana” partiva da casa caricandosi sulle spalle la pesante attrezzatura e cominciava a battere le campagne, cascina per cascina, offrendo i suoi servigi.

L’attrezzo che si portava sulle spalle, il “cardo”, era costituito da una tavola di legno con quattro doppie file di acuminati “pettini” in ferro, e completato da due larghe “spazzole”, anche queste con denti ferrati, che il cardatore utilizzava, una per mano, per cardare la lana infeltrita dei materassi o per “pettinare quella nuova”.

In pratica doveva fare a mano il lavoro di sfioccare la lana della “lupa”, una macchina tessile che prepara la lana per materassi.

Il ritorno nel proprio paese avveniva dopo mesi; un duro lavoro quindi, che era ricompensato con il denaro pattuito e con i pasti e l’alloggio che ogni famiglia offriva loro.

Poiché il lavoro si svolgeva all’interno delle abitazioni e quindi alla presenza dei padroni di casa, i cardatori avevano inventato un linguaggio singolare per parlarsi e accordarsi senza che li si potesse comprendere chiamato “ La Trignana ”.

Alcuni anziani di Cerqueto ancora ricordano tale linguaggio e la Pro Loco sta cercando di recuperarlo, per una memoria storica di un mestiere scomparso.